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STORIES WE DANCE INTERNATIONAL VIDEO DANCE

 Il contest di videodanza internazionale Stories We Dance è il cardine della sezione audiovisiva di FuoriFormato, e rende conto di un'indagine, unica in Italia, sulla trasversalità e sperimentazione dei linguaggi audiovisivi applicati alla danza, alla performatività e allo storytelling.

The Growing Edge

The Growing Edge

The Growing Edge

Durante una gita a cavallo con il padre, un ragazzo cade e non riesce a rialzarsi. Dallo spazio nega

Ian Kaler, Austria/Germania, 17'

Durante una gita a cavallo con il padre, un ragazzo cade e non riesce a rialzarsi. Dallo spazio negativo del ricordo, il performer ripensa il proprio corpo ferito come un archivio aperto, per riflettere sul rapporto padre-figlio, sul peso delle aspettative, sulla possibilità di accogliere il fallimento. Dieci estati dopo quell’inverno, l’autore si rivolge a sé stesso adulto, e sceglie un finale possibile.

Maldonne

The Growing Edge

The Growing Edge

Leïla Ka, Josselin Carré, Francia, 15'

Undici donne si ribellano all’automatismo delle mansioni domestiche. I gesti quotidiani si tendono, si serrano, si trasformano in linguaggio condiviso. Senza parole, ma con forza crescente, il gruppo si fa corpo unico, ma non conforme, maldonne, aggettivo francese che qui – invece di indicare l’errore nella distribuzione delle carte da gioco – richiama il disordine creativo della nascente società femminile.

Pidikwe

The Growing Edge

Scores for Mother & Daughter

Caroline Monnet, Canada, 10'

Girato su pellicola per evocare l’estetica del cinema anni Venti, il film rilegge i codici della storia dell’arte europea per riflettere sulle realtà indigene di oggi e ricongiungere i corpi delle donne – segnati da secoli di controllo e violenza coloniale – al paesaggio urbano, familiare e immaginario.

Scores for Mother & Daughter

Spoken Movement Family Honour

Scores for Mother & Daughter

Natalia Sardi, Belgio, 12' 15''

Uno scorcio intimo sulla trasmissione ereditaria tra madre e figlia, dove due paia di mani – una adulta, l’altra infantile – si incontrano, si ascoltano e si riconoscono nel tempo. Attraverso una partitura coreografica ispirata alle “musical scores” concepite da Louise Bourgeois a New York nel 1999, il gesto diventa linguaggio intergenerazionale, tessitura affettiva, forma di complicità. Il corpo in movimento custodisce la memoria, la trasforma, e la consegna come atto d’amore.

Spoken Movement Family Honour

Spoken Movement Family Honour

Spoken Movement Family Honour

Daniel Gurton, Regno Unito, 11' 40''

Radicato nell’ibridazione tra teatro e videodanza contemporanea, il film inscena il trauma della violenza tra padre e figlia attraverso una grammatica coreografica costruita su un equilibrio sempre sul punto di spezzarsi. Mentre ogni oggetto si muove come parte di un sistema domestico di contrappesi perfetti, la verità emerge proprio in quell’istante sospeso, tra il movimento trattenuto e il rischio della caduta.

Waves, Everywhere

Spoken Movement Family Honour

Spoken Movement Family Honour

Kodac Ko, Johannes Malfatti,

Corea del Sud, 18' 42''

Tracce di vite differenti circolano e si intrecciano nello spazio anonimo di una metropoli globalizzata e disorientante. È Berlino o Seul? È il racconto della malinconia di chi è partito o della nostalgia di chi è restato? La schiena di una donna è rivolta al passato, le sue ali impigliate nel vento dichiarano che il progresso che ci circonda è tempesta. Quando le luci si riaccendono e si esce dalla sala, ci si accorge che nulla si è mai fermato.

WEST

WEST

WEST

Thomas Bos, Olanda, 11' 40''

Il viaggio non è un gesto innocente: è osservazione, attraversamento di memorie. Esponendosi al rischio di appropriazione culturale, dei break-dancers decostruiscono con leggerezza e ironia il mito del viaggio virile e coloniale. Criticano la ripetizione farsesca del passato o danno libero sfogo all’immaginazione senza curarsi delle conseguenze?

YES!

WEST

WEST

Madli Lääne, Estonia, 3'

Tra gli angoli e i vuoti architettonici del terminal crocieristico di Tallinn, un corpo si muove come perso nel labirinto del successo. Ispirato da una poesia di Joonas Veelmaa, campione europeo di poetry slam, YES! interroga i dettami dell’“achievement society”, mettendo in scena l’ottimismo crudele per come lo definisce la teorica Lauren Berlant: quel meccanismo per cui restiamo attaccati a sogni e promesse di felicità – successo, ricchezza, autorealizzazione – anche quando i mezzi per ottenerli ci logorano o ci rendono infelici.

STORIES WE DANCE UNDER 35 INTERNATIONAL VIDEO DANCE

La sezione nasce come contenitore dedicato ad opere di giovani regist* e nuovi talenti del panorama mondiale, intecettandone l’eterogeneità stilistica e l’originalità dei processi produttivi e amplificando le istanze del presente e del futuro del dance film come genere e forma d’arte in costante mutazione.

A Dying Tree

I'm Ready to be any Animal that's Whistled

A Dying Tree

Vincent René-Lortie, Canada, 15'

Un impiegato si imbatte nello sguardo muto e remoto di uno scimpanzé. Il suo quotidiano si inceppa, poi si decompone, resta in bilico tra la vertigine di un’animalità rimossa e l’emergenza di un doppio che nega le nostre convenzioni. Nello spazio metropolitano, non-luogo sospeso tra le cose, inizia così una trasformazione, che costringe lo sguardo e il corpo a ri-credersi.

Finimondo

I'm Ready to be any Animal that's Whistled

A Dying Tree

João Sanchez, Portogallo, 9' 18''

Per catturare il fenomeno ottico della Fata Morgana, il mezzo cinema illude e distorce ciò che è distante, lo fa fluttuare. Mentre l’umano perde i suoi riferimenti, vive l’orrore della perdita delle coordinate, la danza si trasforma in fenomeno naturale perturbante.

I'm Ready to be any Animal that's Whistled

I'm Ready to be any Animal that's Whistled

I'm Ready to be any Animal that's Whistled

Pipou Phuong Nguyen, Trang Ly,

Francia, 5' 45''

Una creatura attraversa i margini del sensibile in un viaggio surreale di metamorfosi. Tra paesaggi sonori inquieti e visioni ipnotiche, il corpo si dissolve in qualcosa di altro: né umano né animale, ma entrambe le cose insieme. Il film abita una soglia estrema, dove il sé ha già oltrepassato la natura e si è fuso con essa. La trasformazione è compiuta, noi siamo già dall’altra parte. 

The Inescapable Desire of Roots

The Inescapable Desire of Roots

I'm Ready to be any Animal that's Whistled

Mark Chua, Li Shuen Lam, Singapore, 5' 39''

Girato con una febbrile combinazione di Super8 e 16mm, il film usa il mezzo stesso – e i capelli dei registi incollati sulla pellicola – per dare forma a un conflitto esistenziale e politico. Una visione scompigliata, in cui il pelo diventa trappola e liberazione, disciplina e resistenza, il corpo si ribella al sistema che lo contiene, e la carne stigmatizzata torna a essere superficie attiva di trasformazione e opposizione.

Moving Echoes

The Inescapable Desire of Roots

Moving Echoes

Sosi Chamoun, Svezia, 5' 35''

Cercando un modo per ripensare le logiche dell’autofiction, la regista si affida alla struttura dialettica dello split screen come dispositivo rivelatore: da un lato, la danza viva del presente; dall’altro, l’archivio sospeso della memoria. In un tempo stratificato e non lineare, l’eredità si inscrive nel gesto, tracciando un legame invisibile tra generazioni, ricordi e corpi che si cercano oltre ogni distanza.

One, Another

The Inescapable Desire of Roots

Moving Echoes

Gregor Petrikovic, Stati Uniti, 2' 39''

Nella frenesia anonima della città, i corpi si muovono in cerca di qualcosa che non ricordano, ma che li abita da sempre: un contatto perduto, una totalità smarrita, l’altra parte di sé. Una danza per interrogare l’origine del desiderio, come in una riflessione simposiale della filosofia greca. E se il doppio non fosse solo un riflesso, ma una mancanza inscritta nel corpo stesso?

Silentium

Silentium

Silentium

Roméo Lefèvre, Francia, 10'

Sopravvissuti a una contaminazione invisibile, gli esseri umani sono ritornati a uno stato di natura in cui i corpi si chiudono nel silenzio e nella diffidenza. Un uomo e una donna si incontrano inaspettatamente nella foresta. Tra sospetto e desiderio, l’unico linguaggio possibile è la danza. Fragile gesto di fiducia, riattiva una memoria del contatto umano, oltre la parola e la paura.

STORIES WE DANCE LABORATORIO ITALIA

Inaugurato nel 2020 e a cura di Augenblick, Laboratorio Italia esplora e valorizza la pluralità di linguaggi e tendenze al centro delle produzioni o coproduzioni nazionali di videodanza, offrendo una particolare attenzione alle ispirazioni delle giovani generazioni italiane.

100 years +

Abbiamo lavorato tanto

Ἅλϛ - Forms of life

Gloria Frigerio, 3' 02''

Muovendo dalla recente scoperta di tre nuovi organi nel corpo umano, 100 Years + interroga la medicalizzazione del corpo attraverso immagini stratificate e originali sculture in ceramica degli organi stessi. Gli oggetti di scena innescano un’esperienza di contatto sensoriale con l’interno, in cui la malattia si fa soglia, il corpo campo di indagine tra conoscenza, presenza e opacità.

Ἅλϛ - Forms of life

Abbiamo lavorato tanto

Ἅλϛ - Forms of life

Chiara Marolla, Ivan Gasbarrini, 13' 20''

Nato come performance nelle strade di Roma con l’idea che ogni luogo possa farsi teatro, Ἅλϛ – Forms of life è un progetto coreografico in continua metamorfosi. Il video documenta una delle sue forme, traducendo il gesto performativo del rituale in linguaggio audiovisivo che alla sempre più arborescente spartizione del sapere – regimentato, controllato – cerca di rispondere rivitalizzando le radici genealogiche della memoria.

Abbiamo lavorato tanto

Abbiamo lavorato tanto

Abbiamo lavorato tanto

Teodora Grano, Bruno Leggieri, 9' 44''

Il film trasforma una fabbrica abbandonata in un corpo vivente, dove canti e gesti risvegliano le betoniere come reliquie materiche di una memoria rimossa di precarietà delle condizioni lavorative. Il metallo vibra, si lascia toccare, e svela storie sepolte di maternità. In questo incontro tra materia e carne, lo spazio industriale diventa teatro di una metamorfosi sensibile di scoperta delle difficoltà sul mondo del lavoro.

Crangon Crangon Eyes

Meccaniche Selvatiche

Abbiamo lavorato tanto

Daria Greco, Ivan Gasbarrini, 13' 41''

Tra mercati, edifici razionalisti e spazi abbandonati di Ostia, un corpo si muove all’indietro, sovvertendo l’ideologia del progresso e abitando ciò che di solito resta fuori campo. Questo moto a ritroso ridefinisce lo spazio stesso attraverso un uso anatomico non convenzionale, mettendo in crisi un’architettura funzionalista che non conosce imprevisto.

ElleX / ElleY

Meccaniche Selvatiche

Meccaniche Selvatiche

Valeria Galluccio, 11' 32''

In un mondo sospeso sotto una pioggia di comete, ElleX attraversa lo spazio inclinato del desiderio, lasciando cadere perle luminose – la propria sostanza vitale. Comincia così un viaggio negli spazi virtuali di smaterializzazione del corpo, e sulle nuove forme di contatto. Dalla materia digitale nasce ElleY, il suo doppio. In un rituale di energia e di luce si fondono: digitare in fondo significa toccare, volerlo fare anche quando la realtà scompare.

Meccaniche Selvatiche

Meccaniche Selvatiche

Meccaniche Selvatiche

gruppocorp3 collective, 2' 41''

In un paesaggio dove natura e tecnologia si intrecciano, delle giovani donne giocano tra le geometrie della natura, cercando spazi abitabili per pensarsi diversamente. I loro corpi – ponti tra biologie differenti – si fondono con le superfici di una natura che si dà e allo stesso tempo rimane ostinatamente opaca: specchio che disarticola ogni tentativo di narcisismo antropocentrico.

Mykestesia N.1

Mykestesia N.1

Mykestesia N.1

Federico Pipia, 7' 30''

Alla fine del mondo, un’entità postumana, plausibile mutante dell’Antropocene, ricalca le strategie involontarie di resistenza dei funghi: organismi marginali che crescono in paesaggi degradati collaborando con altre specie. Il soggetto cerca di venire al mondo in un futuro indefinito, proiettando le sue radici fuori dalla terra, nel tentativo di incarnarsi in un nuovo ecosistema possibile.

Private Plays

Mykestesia N.1

Mykestesia N.1

Alberto Brizioli, Eva Grieco, 8' 36''

In questa coreografia silenziosa, tesa tra sguardo e presenza, desiderio e reazione, un occhio anonimo si aggira tra le siepi di un parco e si posa su una donna. Ma quando lo sguardo si fa troppo evidente, codice di un voyeurismo che avviluppa la realtà per appropriarsene, ecco che il corpo risponde, si espone alla sfida, in una danza trasformativa che ribalta le posture spettacolari.

VORAGINE

Mykestesia N.1

VORAGINE

DEHORS/AUDELA, 10' 30''

La figura di una donna si perde dentro ad una depressione del terreno. Nello spazio tra le due montagne, la voragine è teatro del corpo, ventre della catastrofe, spazio sempre più onirico di un’ Arcadia che riaffiora tra le fenditure della terra e quelle dell’immaginario. Attraverso una insistita manipolazione ottica, il film interrompe la continuità dello spazio e del tempo per attivare l’interstizio di buio tra le immagini – la parte che il montaggio di solito nasconde.

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